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La mia tesi 8 anni dopo

Sono (ahimè) passati già 8 anni da quando mi sono laureato con una tesi dal titolo stimolante: “Software libero, standard aperti. Opportunità o necessità per la pubblica amministrazione?”. L’argomento, di grande interesse, era all’epoca ancora poca discusso e ha guadagnato solo in questi ultimi anni uno più larga diffusione sia all’interno della pubblica amministrazione che nella opinione pubblica. E’ probabilmente per questo motivo che Maggioli editore, con la collaborazione di Tesionline, ha deciso di pubblicare alcuni abstract di tesi attinenti ad alcuni temi che verranno sviluppati mensilmente all’interno del loro Piano Editoriale EGov 2008. Per il mese di Giugno sono previsti, tra gli altri, i seguenti argomenti: Soluzioni open source nella PA e Soluzioni per la connettività. All’interno del primo sarà pubblicato l’abstract della mia tesi, che qui vi anticipo. Se qualcuno fosse interessato ad approfondire l’argomento, la tesi in versione completa è presente su Tesionline e, ad oggi, è stata visitata 982 volte e acquistata 13. Mickey!

Lo scopo principale di questo lavoro è quello di riuscire a portare alla luce il ruolo che il software open source potrebbe o dovrebbe, a seconda dei punti di vista, svolgere nella Pubblica Amministrazione italiana ed europea. Il nodo del problema è più che mai attuale, dato che gran parte del settore pubblico utilizza, nel campo informatico, applicazioni e sistemi operativi prodotti da una sola software house: la Microsoft Corporation.
Il dibattito sviluppato attorno a questo tema prende le mosse da alcuni eventi che stanno mobilitando sempre più il mondo dell’informatica, in particolare riguardo la diffusione sempre più tangibile della “filosofia” e della programmazione open source.
In sintesi, un programma open source è un software di cui è possibile conoscere il codice sorgente, ossia la vera e propria struttura che nei software commerciali è invisibile, poiché cancellata dalla compilazione in linguaggio macchina. Questo permette, a chiunque ne abbia le capacità, di suggerire correzioni, proporre miglioramenti e aggiunte al software open source. Altro elemento di grande importanza è la libera distribuzione di questo tipo di software (attenzione, non necessariamente la sua gratuità) ed il fatto che non deve presentare discriminazioni di utilizzo verso campi di applicazioni o specifiche persone; deve, inoltre, essere liberamente modificabile da chiunque.
Esempio dell’applicazione di queste linee guida è rappresentato dalla GNU GPL (General Public License) della Free Software Foundation: questo tipo di licenza è applicata, ad esempio, al sistema operativo Linux, ai software forniti dalla Free Software Foundation e a molti altri. Il capitolo uno di questo lavoro si occupa proprio di approfondire l’argomento delle licenze sotto cui vengono distribuiti i vari software e la tutela di cui godono, cercando di chiarire il loro funzionamento ed evidenziando pregi e difetti. Il capitolo introduce anche la differenza, seppur sottile, tra free software e open source software e analizza le varie tipologie di software esistenti, classificandole in software “aperto” e software “chiuso”.
Il secondo capitolo presenta il nuovo, per certi versi rivoluzionario, modello di produzione del software: un modello che potremmo chiamare “open development”, fulcro della maggior parte degli studi effettuati ad oggi sul fenomeno. Esso viene analizzato a partire dal modello tradizionale di sviluppo e inquadrato nella vasta disciplina dell’ingegneria del software, attraverso le classiche fasi del ciclo di vita: analisi, progettazione, realizzazione e manutenzione. Prima di fare questo, tuttavia, viene descritta la nascita e l’evoluzione di un progetto open source e la struttura organizzativa all’interno della quale si svolge il processo (la comunità di sviluppo).
A questo punto, viste le caratteristiche salienti di questo nuovo modo di concepire il software, viene spontaneo domandarsi perché la nostra Pubblica Amministrazione (ma anche quelle europee) non debba aprirsi verso questa opportunità o addirittura non ne debba fare una sua necessità. E’ per questo che, nel terzo capitolo, ho esaminato approfonditamente la situazione della Pubblica Amministrazione italiana, mettendo in luce tutte le recenti iniziative volte a inserire software open source nei suoi apparati. Il dibattito è molto acceso e sono molte le iniziative da parte di associazioni e parti politiche volte a sensibilizzare l’Autorità per l’informatica nella Pubblica Amministrazione (AIPA) e il Governo verso questo argomento.
Per concludere, mi è sembrato doveroso studiare la situazione negli altri Paesi della Comunità Europea. A tal fine, ho usufruito di uno studio condotto all’interno del programma IDA (Interchange of Data between Adminstrations), un’iniziativa strategica guidata dalla Comunità Europea che usa avanzati strumenti tecnologici di informazione e comunicazione per supportare rapidi scambi elettronici di dati tra le amministrazioni degli Stati membri. Lo studio dell’IDA sull’uso del software open source nel settore pubblico prende in esame i casi di sei Paesi europei: Belgio, Francia, Germania, Italia, Spagna e Svezia. In tutti questi paesi sono già utilizzati software open source, sebbene con differenze molto evidenti.
La situazione è in evoluzione continua in tutta Europa e mostra la grande attenzione con cui i Governi dei vari Stati stanno osservando il fenomeno, anche se, per ora, le realizzazioni pratiche sono molto limitate. Nonostante questo, emerge che il software libero non è in fondo una cosa strana e misteriosa, ma una plausibile promessa, credibile nel lungo termine. Affrontare questo tema ci costringe ad un notevole esercizio mentale poiché sovverte l’ormai tradizionale concezione del software e apre la strada verso nuovi, appassionanti interrogativi.

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